SAN SIRO E LA CAPACITÁ DECISIONALE


De-cidere deriva dal latino de- “caeděre” ovvero “tagliare”.

Prendere una decisione non è mai facile perché questo implica una scelta e quindi una conseguenza. Si pronuncia un giudizio che sblocca una determinata situazione e questo porterà delle conseguenze, non sempre prevedibili. È una responsabilità gravosa, ma necessaria per poter gestire e progredire in qualsiasi ambito, lavorativo o privato.

 

 

L’ultima puntata della telenovela “Stadio San Siro” è l’ennesima prova

di mancata capacità decisionale. 


Eppure decidere è indispensabile e noi vi spieghiamo come fare: 

(carta e penna possono essere di aiuto)

Punto Primo: Osservare 

Guardare con occhio oggettivo, come scattare una fotografia. Rilevare dati reali e concreti che descrivano la situazione attuale, evitando proiezioni personali, pregiudizi, preconcetti e visioni di comodo.

Punto Secondo: L’obbiettivo 

La destinazione, il risultato finale, cosa vogliamo ottenere, il punto di arrivo. 

Punto Terzo: Le parti coinvolte 

Raramente siamo i soli artefici, probabile che più parti siano coinvolte, sia nella realizzazione, sia nella fruizione del risultato finale.

Punto Quarto (e più importante): Chi paga 

Il più semplice dei progetti ha un costo: materiali, autorizzazioni, anche il solo costo orario di chi partecipa alla realizzazione. Le intenzioni non bastano, serve lo sponsor.

Punto Quinto: La mancata realizzazione (o decisione) 

Insomma, se non si fa, se non si agisce, se tutto resta come prima. Non decidere è una decisione. A volte aspettare può essere conveniente: uno scenario in evoluzione, tempi più maturi, una maggiore disponibilità economica. In altri casi può essere deleterio. Se io non decido sarà qualcun altro a prendere una decisione e non sarà a mio vantaggio.

 


Applichiamo questa regola al caso San Siro. 

In questa vicenda c’è un errore di valutazione di partenza: uno stadio non è un palazzo in stile liberty. Per quanto sia carico di storia, non è un’opera d’arte: non è nato per essere ammirato, ma per essere utilizzato. (punto primo)

Il fine ultimo è avere uno stadio moderno per ospitare migliaia di persone in grandi eventi collettivi e in totale sicurezza. Non stiamo parlando di un teatro dove il pubblico è seduto composto, ma al contrario un luogo di ritrovo collettivo tutt'altro che tranquillo. Può uno stadio vecchiotto, restaurato e rattoppato soddisfare questa esigenza? (secondo punto)

Lo stadio non è una pertinenza esclusiva del comune: sarà utilizzato dalle squadre e

dal pubblico, quindi la parte privata è preponderante. Senza le squadre che giocano all’interno dello stadio a cosa potremmo destinare l’utilizzo di San Siro?

Una bocciofila? (punto terzo) 

La realizzazione del nuovo stadio sarà interamente a carico di privati che hanno tutto l’interesse nella creazione e nella gestione del progetto (quarto punto). In questo caso il comune di Milano ha una funzione di tutela e gestione del “passaggio” dal vecchio al nuovo. Diversa sarebbe la situazione se il Comune di Milano si facesse carico dell’in-tera spesa, ma questa non è la realtà delle cose. 

Nel frattempo gli anni passano; le squadre di calcio, i primi interessati alla realizzazione dell’opera, studiano piani alternativi e mentre il sindaco Giuseppe Sala vaga alla ricerca di un’ispirazione, a San Donato il sindaco Francesco Squeri annuncia: “C’è un accordo di programma e sta andando avanti” (quinto punto)