La spedizione italiana agli ultimi Europei di calcio 2024, per quanto catastrofica, è spunto per comprendere un male tutto italiano: a noi quelli bravi non ci piacciono.
In un sistema calcio che ama fare shopping all’estero, ci perdiamo in accesi dibattiti sulle opportunità e sulla volontà di dare ai nostri campioni l’attenzione e la formazione che meritano. Non parliamo abbastanza della mancata capacità nel riconoscere e valorizzare i migliori, perché non ci interessa.
Alla vigilia della competizione europea la folta schiera dei giornalisti sportivi si sperticava in profonde lodi per il nuovo genio del pallone, Nicolò Barella, cavallo vincente, punto di riferimento, perno di ogni azione.
Per Fabrizio Roncone del Corriere della Sera, Barella è il vero leader della squadra italiana perché è l’unico disponibile per questo ruolo. “In attesa di battere la Svizzera” dichiara “Barella è il giocatore italiano con maggiori potenzialità internazionali” ma ammette che deve ancora dimostrare che il gol con l’Albania non sia stato solo un colpo di fortuna.
A noi piacciono i colpi di fortuna, una calcione tirato a caso in mezzo al campo “et voilà” nasce un genio!
Le parole sanno ammaliare e lo stesso Barella dichiara di sentirsi importante ed è pronto “a sputare sangue per questa maglia”. Al contrario Federico Chiesa ha un pessimo carattere, troppo individualista, troppi scatti solitari, troppa energia, queste le sue colpe.
Grande quindi lo stupore di fronte alla commissione EUFA che al termine dell'incontro Italia-Albania dichiara Federico Chiesa migliore in campo. Come è possibile? Forse perché la UEFA sa riconoscere un gol fortuito?
Tony Damascelli basito nelle "Notti Europee" sulle reti RAI definisce la scelta di Chiesa come incomprensibile, quando è chiaro che Barella è l’unica figura da premiare.
Forse per la UEFA il valore e la capacità si misurano in altri termini.
Nicolò Barella è più istinto che metodo. Correre a caso in mezzo al campo, tirare calci con il sostegno della fortuna, comunicare capacità dialettiche limitate, forse sono forme artistiche tutte italiane, ma all’estero non sono prova di grandi capacità.
A noi piace scarso, più moribondo è meglio è. Noi vogliamo il miracolo. Vogliamo che l’incapace diventi capace perché è un suo diritto avere un’occasione.
Non ti serve l’occasione, ti serve saper cogliere l’occasione. È un lavoro interiore, non hai bisogno del miracolo.
Federico Chiesa ha una personalità solida, esprime linee di pensiero complesse, dichiara umiltà e disponibilità per la squadra, si lancia generoso su ogni pallone con coraggio, caparbio cerca di costruire un’azione di gioco dal nulla e non è tatuato come una réclame pubblicitaria, strano che non giochi al Monza.
I campioni vanno coltivati, come i fiori e l’esempio di questo tipo di investimento arriva da un altro campione di origini italiane che ha avuto la fortuna di nascere da un’altra parte: Lionel Messi.
Il ragazzino ha talento, ma non ha un soldo e per di più ha problemi di salute. Il Barcellona, viste le sue indubbie capacità, si assunse le spese necessarie al piccolo campione assicurandosi così un futuro vincente. Sappiamo tutti come è andata a finire.
Federico Chiesa ha dimostrato da subito di avere una marcia in più e come tutti i giovani ha bisogno di essere seguito, formato. In un’altra nazione, un altro allenatore, gli avrebbe costruito una squadra attorno, ma noi preferiamo lasciarlo in panchina a maturare come i pomi sullo scaffale.
Il fanatismo emotivo si sostituisce alla valutazione oggettiva anche nel rinnovo dei contratti. Barella ha già sottoscritto un rinnovo decisamente voluminoso mentre Chiesa lotta ancora per trovare una nuova collocazione e soprattutto una nuova occasione piu concreta.
Quando ci chiediamo come mai i nostri migliori se ne vanno all’estero, ecco spiegato il perché.
Federico Chiesa probabilmente troverà in un’altra nazione l’attenzione e l'occasione che merita, altrettanto faranno molti altri talenti italiani.