BENETTON E IL COLORE ROSSO


Come riportato negli articoli del Corriere della Sera del 25 e 26 maggio u.s. il noto marchio Benetton si trova di fronte ad un inatteso, ma non nuovo, debito finanziario. 

Il caso riporta gli elementi più classici nella gestione delle aziende venete: 

 

  • la scommessa azzardata sui nuovi giovani, ma incompetenti;

  • gli infruttuosi consigli di amministrazione con la polvere sotto il tappeto;

  • lo scontento dilagante, ma è solo un’impressione,

  • l’intervento personale della famiglia per ripianare, di nuovo, il malfatto e

  • i sacrifici che qualcun altro dovrà fare perché la forza lavoro è prossima alla pensione e si tratta di un caso di coscienza.

Le lacune manageriali in veneto sono note e diffuse, sia per l’impossibilità di introdurre manager di qualità al femminile che rientrino almeno nel quarto grado di parentela, sia per l’incapacità di educare forze interne, o alla famiglia o all’azienda. a una solida gestione manageriale.

 

Nei più classici “sembrava tutto sotto controllo” si sceglie il quieto vivere fino allo scoppio della bomba, allo stupore generale e alla profonda ricerca interiore per capire come mai questo sia successo.

 

I risvolti comici non mancano, considerato lo sconcerto di fronte al fondatore che sceglie di uscire definitivamente dalla gestione attiva dell’azienda. Stiamo parlando di un uomo classe ‘35 che fra qualche mese compirà novant’anni.

In fondo è un problema di visione: tutti vedono nell’azienda di famiglia un bancomat che dispensa denaro, ma anche il più piccolo dei bancomat deve essere alimentato ed è qui che subentra il compito gestionale: la parte meno divertente.

 

La verità è che gestire, decidere e quindi rischiare richiede coraggio e i risultati molto spesso non rispettano le previsioni.

Luciano era già tornato in azione nel 2018, giusto in tempo per riprendere le briglie e aggiustare la corsa. 

 

 

Un anno più tardi affidò la gestione creativa ad un attempato Jean Charles De Castelbajac definito da Paris Match “un giovincello di 69 anni” vecchia conoscenza nel settore.

 

 

La scelta del nuovo amministratore delegato si è rivelata una scelta ben più insidiosa nella più classica delle sindromi da impostore.

 

La cara vecchia sindrome da impostore!

 

Capacità e competenza sono valori effimeri di fronte alla grande maestria di chi racconta la favola più seducente.

 

Anche in questo caso ritroviamo i parametri più classici applicati alla selezione di un manager:

 

  • è amico di un amico;

  • ha una faccia simpatica;

  • non conosce il settore, ma ha già capito tutto;

  • ha grande ambizione ed è pronto a lavorare tantissimo.

Le parole del patron rispecchiano perfettamente “la scelta emotiva” di fronte a “un candidato che viene dalla montagna (…) si presenta con apparente volontà di capire e farsi carico dei problemi” e la Cassandra di turno che in “una telefonata accorata di un conoscente” gli consiglia “di non proseguire con questa persona perché la definisce assolutamente non idonea a un incarico così complesso” resta inascoltata.

 

 

In fondo è un uomo, inoltre “la persona è ambiziosa e determinata a crescere professionalmente” doti più che sufficienti per farne un cavallo vincente.

Il termine “sindrome dell’impostore” fu coniata dalle ricercatrici  Pauline Clance e Suzanna Imes già nel 1978 in merito ad uno studio condotto tra le donne di successo che in realtà non erano capaci di interiorizzare le conquiste ottenute come proprie, ma preferivano al contrario parlare di fortuna e tempismo favorevole.

 

 

Alla fine degli anni ‘90 gli psicologi David Dunning e Justin Kruger confermarono questa visione distorta delle proprie capacità dal punto di vista opposto: gli incompetenti tendono a sopravvalutarsi definendosi, a torto, superiori alla media. Il loro lavoro fu premiato nell'anno 2000 con il premio Nobel.

Le persone più capaci tendono a “sottovalutare” il proprio valore perché più “realiste” nei confronti di un mondo dove ogni giorno si può imparare qualcosa di nuovo.

 

Gli incompetenti hanno una visione più ristretta e quindi più certa del proprio valore.

 

La cruda realtà di questi studi trova conferma nella selezione del personale, dove le aziende di tutto il mondo hanno bisogno di manager capaci, ma basano la scelta su valori alterati da chi “la racconta meglio”.

 

Così ci si ritrova con manager, con le stesse parole del patron Benetton: “… in buona fede ma gravemente inadeguati agli incarichi che hanno ricoperto”.

Eppure i sintomi di una cattiva scelta si manifestano rapidamente:

 

Nell’eliminare persone di esperienza, ma ‘datate’ e quindi incapaci di accogliere il cambiamento, per sostituirle con figure giovani e sprovvedute, ma più in linea con il nuovo amministratore.

 

L’anziano proprietario può solo commentare con amarezza: “Sa, non mi immagino che si cambino persone capaci con persone senza esperienza”.

 

Nel malumore che serpeggia di fronte al nuovo ‘Marchese del Grillo” come descritto dalle organizzazioni sindacali, ma già confermato dall’anziano proprietario che da parecchio tempo raccoglieva lo scontento all’interno dell’azienda.

 

 

Prendere coscienza della situazione è il primo passo, così come l’obeso viene messo di fronte alla bilancia, così un’azienda deve scegliere un piano terapeutico per riuscire a salvarsi la vita.

Quali saranno i punti di rilancio? 

  • una selezione dei punti vendita con una sana potatura,

  • una ritrovata qualità ‘made in Italy’

  • riportando (anche parzialmente) la produzione in Italia.

 

 La solida, cara, qualità sulla quantità, ma questa è un’altra storia.